“L’ immigrazione vista dal Bar Sport”

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«Io la chiamo l’ immigrazione vista dal Bar Sport che a volte contagia anche commentatori come Galli Della Loggia».  Usa questa immagine – su Avvenire, in un interessante articolo a firma di Luca Liverani – il professor Maurizio Ambrosini, docente di sociologia delle migrazioni all’Università di Milano intervenuto ieri al Convegno di Retinopera sul fenomeno migratorio. L’allarme sociale è del tutto ingiustificato, spiega: «dati, fatti, numeri raccontano una realtà diversa. Il resto sono fandonie. O lo specchio delle nostre ansie, delle paure che abbiamo del mondo globale». Ambrosini ridimensiona il fenomeno: fenomeno globale, integrazione possibile, assieme al direttore di Migrantes monsignor Gian Carlo Perego e a Paolo Morozzo della Rocca, docente a Urbino esperto di diritto dell’ immigrazione. Per il coordinatore di Retinopera, Franco Miano, questa alleanza di 19 realtà cattoliche impegnate nell’attuazione della dottrina sociale deve agire da fattore di moltiplicazione del bene anche e soprattutto sul tema dell’ immigrazione». Per Ambrosini dunque «le politiche di chiusura falliscono perché c’ è un mercato del lavoro: tra 2008 e 2015 gli stranieri sono passati dal 7% al 10% dei lavoratori. Vogliamo il turismo? Non possiamo restringere quello che è anche il principale canale d’ ingresso dei migranti. Vogliamo stranieri nelle università? Però non arrivano da Oxford ma dalla Cina: Cameron con l’ India protesta per gli studenti che poi vanno a lavorare, ma dimentica che risanano i bilanci con rette più alte che quelle dei britannici». Come declinare la dottrina sociale di fronte a questo fenomeno? Per monsignor Perego i nodi si chiamano diritti del lavoro, pace, sviluppo, ambiente. Le soluzioni, come ha ricordato a Prato Papa Francesco, sono «rispetto, accoglienza, inclusione, integrazione». «Non c’ è rispetto nello sfruttamento del lavoro dei migranti che crea perdita di contributi, riduzione dei salari, conflitti coi lavoratori italiani». Del diritto all’ istruzione dei minori, «se l’ abbandono è cresciuto dal 10 al 17%». Del diritto al recupero, «se 9 detenuti italiani su 10 accedono alle pene alternative, mentre 9 stranieri su 10 restano in carcere». Serve un ripensamento della scuola, «che ha gli stessi programmi di 25 anni fa con le classi piene di stranieri», delle città «come fece La Pira col quartiere dell’ Isolotto, quando invece si creano quartieri ghetto senza verde, scuole, parchi e poi ci meravigliamo se sono insicuri», dei diritti di cittadinanza «se chi vive e lavora qui non può eleggere i suoi rappresentanti nemmeno alle amministrative e un bambino nato in Italia deve aspettare la maggiore età e poi altri due anni per diventare italiano, mentre un italo-argentino di quarta generazione che non parla più italiano può avere il doppio passaporto». Il direttore riflette anche sul perché «solo lo 0,1% degli iscritti all’ associazionismo ecclesiale è fatto da migranti ». Perché «il nostro futuro è solo dentro un progetto di incontro». Morozzo della Rocca affronta l’ allarmismo sui rifugiati comparando il 2 per mille della presenza in Italia col 30 per cento in Libano. E indica i corridoi umanitari promossi da Sant’ Egidio, evangelici e valdesi come alternativa alle traversate: «Ci sono eritrei che hanno perso la vita in mare, perché i loro familiari in Italia non erano riusciti per limiti burocratici a fare il ricongiungimento».