Concluso ad Assisi il seminario nazionale sul tema ”Dentro le periferie. Riannodare i legami in un tempo di frammentazione”. Riletta la situazione italiana attraverso gli indicatori dell’Osservatorio del bene comune. Interventi di Marco Livia, Leonardo Becchetti e Mauro Magatti
Non esiste solo il Pil. Anzi, per valutare quanto bene comune ci sia in un determinato territorio, o quanta felicità, lindicatore economico può portare fuori strada. Al seminario nazionale di Retinopera, che si è chiuso oggi ad Assisi e ha avuto per tema Dentro le periferie. Riannodare i legami in un tempo di frammentazione, la riflessione nellultimo giorno di lavori è partita dai dati dellOsservatorio del bene comune, che la rete di associazioni e movimenti ha avviato proprio per permettere una prospettiva danalisi del benessere territoriale, ovvero delle persone che abitano un territorio, centrata sulla nozione di bene comune, così come la intende la Dottrina sociale della Chiesa.
Famiglia: Nord e Sud si rincorrono. Confrontando i dati Istat di un triennio (2008-2011), emerge che nei momenti di crisi la famiglia è lambito territoriale che per primo risente delle modificazioni nella tenuta del Paese, ha esordito Marco Livia, direttore dellIref (listituto di ricerca delle Acli). Quando si parla di bene comune rispetto alla famiglia Nord e Sud si alternano, e se la Campania era la prima regione nella precedente rilevazione, in quella aggiornata è comunque seconda, scalzata da Trentino Alto Adige e davanti alla Calabria che si pone al terzo posto. Quando si affrontano questioni legate alleconomia, o allambiente, emergono differenze tra Settentrione e Meridione dItalia. Tuttavia, tali differenze ha osservato Livia si smussano e in taluni casi si annullano, come quando si affronta il tema della famiglia; qui, infatti, il bene comune è favorito in quelle regioni dove la cultura della famiglia si coniuga con i valori tradizionali della cultura popolare e di quella cristiana.
Economia: arretramento generalizzato. Sul fronte economia/lavoro, invece, le classifiche non cambiano, ma vedono un arretramento generalizzato. In testa ci sono sempre Emilia Romagna e Lombardia, ossia due regioni con un alto tasso di produzione di brevetti. Da qui prende spunto il direttore dellIref per chiedere un sostegno alla ricerca e allinnovazione prima ancora degli incentivi alloccupazione. In questo momento ha rimarcato le imprese italiane hanno bisogno di aiuti per vendere i propri prodotti, e magari innovare la produzione. Così facendo torneranno anche ad assumere.
No alla globalizzazione senza regole. Ma un ragionamento sulleconomia, oggigiorno, deve necessariamente valicare le frontiere. E così Leonardo Becchetti, docente di economia allUniversità di Roma Tor Vergata, ha rivolto lo sguardo al Sud del mondo e a quei Paesi verso cui emigrano le produzioni nostrane, dicendo no ad accordi di globalizzazione senza regole. Anzi, lavorare per gli ultimi è una necessità se vogliamo migliorare la loro condizione e conservare il nostro livello di benessere, ha aggiunto, arrivando a ipotizzare un salario minimo mondiale. Abbiamo bisogno dimprese e cittadini diversi, ha affermato: le prime non abbiano come obiettivo la massimizzazione del profitto, ma creare valore economico eticamente sostenibile; i secondi siano consumattori, cittadini che votano con il portafoglio.
La carica innovativa dellassociazionismo. Di fronte alle sfide della modernità, tra cui appunto la globalizzazione, ci vuole una carica innovativa per coglierne le potenzialità senza esserne succubi. Un compito che chiama in causa in primo luogo associazioni e movimenti, ha rilevato il sociologo Mauro Magatti parlando del loro possibile impegno nelle periferie. Le realtà aggregative del mondo cattolico per la loro stessa natura si contrappongono a un individualismo che sembra prediletto da un modello globalizzato che chiede livelli di efficienza maggiori. E in questo momento ha precisato Magatti è forte il bisogno di aiutare le nostre città e i nostri paesi ad avviare processi dinnovazione se vogliamo affrontare le sfide che ci vengono dalla globalizzazione. Sapendo che anche la globalizzazione devessere al servizio delluomo, e mai viceversa.
Francesco Rossi